Scioperi 1944 Lecco
Gli scioperi del 1944 a Lecco
Lecco è stata la prima città dell’Italia settentrionale a prendere le armi contro i nazifascisti, all’indomani dell’8 settembre 1943. Il primo nucleo partigiano si costituì sui Piani d’Erna, una propaggine del Resegone che sovrasta il territorio lecchese; altri gruppi armati si formarono poi sul Monte San Martino e sui Piani dei Resinelli (facenti parte del gruppo delle Grigne), in Valsassina e in Valvarrone.
Proprio in Valvarrone si unirà ai partigiani anche Pio Galli, che allora era un operaio diciassettenne e che nel Dopoguerra ricoprirà importanti incarichi sindacali, fino a diventare Segretario generale della FIOM CGIL. Pio Galli non partecipò direttamente ai fatti del 7 marzo ‘44 perchè a quel tempo lavorava in una piccola officina, mentre furono prevalentemente le grandi fabbriche cittadine (Acciaierie del Caleotto, Antonio Badoni, FILE, Rocco Bonaiti) a essere interessate dagli scioperi, ma visse comunque sulla propria pelle quella giornata dal momento che il padre Angelo, operaio al Caleotto, aveva aderito alla mobilitazione e perciò correva il rischio di essere arrestato dalle autorità fasciste;
avvisato per tempo da un collega mentre era a casa con i familiari, Angelo Galli si allontanò in tutta fretta per evitare problemi a sè e ai suoi cari. Le testimonianze principali su ciò che avvenne il 7 marzo ‘44 sono quelle di Pino Galbani, che all’epoca aveva 18 anni e lavorava alla Rocco Bonaiti.
Galbani racconta che già nel gennaio ‘44 in fabbrica cominciarono a girare voci secondo cui di lì a poco ci sarebbe stato uno sciopero, per protestare contro la guerra che si trascinava ormai da anni senza alcuna possibilità di vittoria e per rivendicare miglioramenti nelle condizioni di vita, a partire dagli aumenti salariali.
L’organizzazione delle mobilitazioni era in capo alle commissioni interne che operavano clandestinamente nei maggiori stabilimenti della città; queste, riunite in un Comitato sindacale clandestino, decisero che lo sciopero si sarebbe tenuto dalle 10 a mezzogiorno del 7 marzo.
Alla Rocco Bonaiti l’adesione allo sciopero del mattino fu totale. Gli operai che facevano giornata, una volta rientrati in fabbrica alle 13:30, decisero di aggiungere altre due ore di astensione dal lavoro nel pomeriggio per convincere a scioperare anche i turnisti che dovevano iniziare alle 14:00. Alle 15:00 la polizia fascista entrò in fabbrica e arrestò 29 scioperanti nel reparto di Galbani, 5 donne e 24 uomini tra i quali lo stesso Pino; li legarono e li fecero sfilare per le vie della città, li caricarono su autocarri e li portarono alla questura di Como, dove si trovavano già altri 7 lecchesi arrestati in precedenza (operai di altre aziende che avevano aderito agli scioperi e oppositori del regime).
Il giorno successivo in questura vennero trasferiti altri due operai della Rocco Bonaiti, che non avevano preso parte allo sciopero ma erano sospettati di essere attivisti politici. A quel punto il numero di lecchesi trattenuti a Como era di 38 persone. Da Como i prigionieri vennero inviati a Bergamo e lì consegnati ai tedeschi: alcuni vennero liberati e tornarono a casa, ma la maggior parte fu portata in caserma insieme a centinaia di altri operai arrestati nelle fabbriche di Milano, Torino, Genova e di altre città del Nord Italia.
In tutto furono 26 gli scioperanti lecchesi deportati nel campo di concentramento di Mauthausen-Gusen, 21 uomini e 5 donne, le quali vennero successivamente spostate ad Auschwitz. Di questi 26 lavoratori, soltanto 7 riuscirono a tornare a casa; 19 morirono nei lager, insieme a un’altra ottantina di lecchesi deportati per altre ragioni.
Dario Crippa