Gli scioperi del 1944 a Pavia
Gli scioperi del 1944 a Pavia
Anche in Provincia di Pavia nella seconda metà del ‘43 e nei primi del ‘44 si si estendono in modo crescenti conflitti all’interno di numerose fabbriche. Rivendicano in particolare l’aumento del salario, ma non solo. Notevole ad esempio, l’agitazione presso la Cementifera di Broni. Successivamente il conflitto si estende alla Vittorio Necchi, la fabbrica più importante della Provincia, è il reparto fonderia che trascina l’azione rivendicativa. Nel giro di poche settimane il conflitto si estende in molte altre ditte metalmeccaniche, e ad altri settori. Alla Galbani “manifestazioni di indisciplina, mentre alla Fivre di Pavia sono le donne a muoversi”.
Dopo diversi scioperi durante il periodo badogliano, il 2 marzo 1944 i quattrocentosettantatré dipendenti del calzificio Giudice di Cilavegna aderiscono allo sciopero generale proclamato dal Comitato di Liberazione dell’Alta Italia. Il giorno dopo i nazisti arrestano i membri della ex-commissione interna.
Giovanni Maccaferri, nato a Cilavegna l’8 dicembre del 1923. Viene deportato al campo di Mauthausen, dove muore ai primi di maggio del 1945, poco prima della liberazione del lager.
Clotilde Giannini Nata a Tornaco (NO) nel 1903, residente a Gravellona. Viene deportata prima a Mauthausen, poi ad Auschwitz, infine a Bergen Belsen, dove muore il 24 aprile, 9 giorni dopo la liberazione del campo.
Camilla Campana, nata a Clusone nel 1916. Segue lo stesso itinerario della Giannini fino ad Auschwitz. Poi è deportata a Ravensbrück e quindi a Buchenwald. È liberata dai russi durante la marcia di eliminazione.
Luigina Cirini, anch’essa come la Giannini e la Campana viene inviata ad Auschwitz, poi è trasferita a Flossenbürg dove è liberata.
Pietro Omodeo Zorini, pur non essendo dipendente dal calzificio viene arrestato con l’ accusa di essere l’ispiratore politico dello sciopero. Comunista, ha conosciuto l’esilio e una esistenza travagliata per gravi problemi di salute e povertà. Francesco Maccaferri, fratello dell’operaio Giovanni, deportato a Mauthausen, nella sua testimonianza ricorda il ruolo di educatore di ‘Pidrucia’ che, nella sua bottega di sarto, discuteva dei problemi politici e consigliava gli incerti. Vale la pena di ricapitolare brevemente anche la sua vicenda, benché terminata a Fossoli, così come egli stesso l’ha descritta in una testimonianza del dopoguerra.
Strettamente sorvegliato dal maresciallo dei carabinieri, che cerca di intimidirlo e lo costringe più volte a presentarsi in caserma, nonostante il suo handicap (gli era stata amputata la gamba destra), viene arrestato assieme ad alcuni operai dell’ex-commissione interna del calzificio Giudice: «Nel pomeriggio del 3 marzo 1944 – ricorda – si presentarono una quindicina di tedeschi delle SS a casa mia accompagnati dal segretario comunale e dal messo comunale e dall’interprete». Assieme agli altri operai viene portato al castello di Vigevano, poi alla caserma dei carabinieri, quindi all’Hotel Regina di Milano (sede della Sicherheitspolizei) e a San Vittore.
Osvaldo Galli