Gli scioperi del 1944 nella bergamasca
Gli scioperi del 1944 nella bergamasca
Nella cultura dell’antifascismo il legame tra classe operaia e Resistenza è stato spesso oggetto di celebrazioni trionfalistiche. Grazie agli studi e alle ricerche di Angelo Bendotti e Giuliana Bertacchi abbiamo a disposizione un’interpretazione rigorosa dei principali eventi del 1943-1945 nell’area di Bergamo e possiamo quindi delineare le caratteristiche specifiche, le storie individuali e soprattutto gli aspetti più problematici su cui vale ancora la pena riflettere. Pare, dunque, propizia la ricorrenza che cade quest’anno degli scioperi del 1944 per valorizzare l’opuscolo dal titolo Per un più giusto domani. Bergamo 1943-1945. Conflittualità operaia e resistenza che mette nero su bianco gli atti del convegno omonimo organizzato da CGIL, CISL e UIL e dal Comitato bergamasco antifascista a Dalmine nel 1995, in occasione del cinquantesimo anniversario della Liberazione.
Sono complessi e sfaccettati i fattori socioeconomici che caratterizzano la realtà bergamasca del tempo: “tra la fine degli anni venti e l’inizio degli anni Quaranta giungono a compimento processi decisivi, con il rafforzamento dei settori produttivi più moderni, il grande calo del tessile, il vero e proprio crollo dell’industria serica. La netta diminuzione dell’occupazione nel decennio 1927-1937 si accompagna alla ricomparsa di una miriade di piccole e piccolissime industrie che attutiscono l’impatto immediato della grave diminuzione dei posti di lavoro […] viene così a mancare quella protesta sociale che il regime a potere aveva ragione di temere: il fascismo riesce nell’intento di frantumare il fronte oppositivo dei lavoratori più marcatamente a Bergamo che in altre realtà”[1]. In un territorio in cui l’ideologia cattolica era già ben radicata le azioni caritative della Chiesa trovano terreno fertile per affermarsi e in generale l’assistenzialismo diventa uno strumento utilizzato con finalità diverse anche da industriali ed esponenti del regime.
Il proletariato bergamasco inoltre era costituito perlopiù da operai-contadini che conservavano un legame particolare con la terra e i campi – erano infatti ancora esigui i nuclei urbani – quindi anche la protesta antifascista assume forme meno manifeste, più incerte e sicuramente non riconducibili a una lotta di classe. In questo problematico contesto l’intenzione del PCI di insediarsi con decisione nel territorio bergamasco viene frenata irrimediabilmente.
Dopo il 25 luglio del 1943 il clima si fa più incandescente sia nelle fabbriche che in numerosi centri della provincia. Tuttavia all’intensificarsi delle agitazioni non corrisponde sempre la nascita di Commissioni interne auspicate dal PCI. Solo la Dalmine, l’ILVA di Lovere, la CAB e la STI di Crespi d’Adda vedranno lo stentato costruirsi di questi organismi.
Alla Dalmine i quadri operai di rilievo appartengono tutti al Partito d’Azione, tra i nomi di spicco compaiono: Bepi Signorelli, Angelo Nervi, Ernesto Frigerio, Pietro Sottocornola. Tra i tecnici e gli impiegati nominiamo Mario Invernicci e Mario Buttaro che avranno poi un peso specifico nella Resistenza bergamasca. La stessa commissione clandestina di fabbrica sarà formata da elementi del PdA e del PCI fino all’estate del 1944. Il Partito comunista fa, invece, maggiore presa all’ILVA di Lovere, alla STI di Crespi d’Adda e alla Caproni. Da quest’ultima emergono almeno due figure di rilievo, Dante Paci che avrà un ruolo fondamentale nell’organizzazione della lotta partigiana e Roberto Petrolini, poi presidente del CLN provinciale.
Le Commissioni interne sono oggetto di costante dibattito all’interno del vivace fermento a cui si assiste nei luoghi di produzione: Il Partito comunista che inizialmente si era battuto per la loro costituzione, ora comincia a delegittimarle a favore di comitati clandestini di agitazione, condizione indispensabile per l’insorgere della lotta antifascista. In questo contesto faticoso e incidentato si innesta l’appuntamento degli scioperi del 1944 che diventa banco di prova per i gruppi clandestini di fabbrica. Solo la Dalmine, la Caproni e il Canapificio di Fara d’Adda aderiscono alla stagione di scioperi che riguardano le grandi fabbriche del nord Italia. L’ILVA di Lovere invece si incarta nel tentativo di sabotaggio di due trasformatori elettrici.
Le fabbriche bergamasche lavorano prettamente per la Germania producendo armamenti e materiali di interesse bellico. È evidente dunque il ruolo che sabotaggi e boicottaggi hanno avuto nella lotta antifascista. Occorre però tener conto del fatto che se il rischio di rastrellamento della manodopera e trasferimento di reparti poteva essere ridotto al minimo garantendo alti livelli di produzione industriale, è altrettanto vero che per minimizzare la possibilità di bombardamenti alleati occorreva invece ridurre il ritmo produttivo. Molti industriali scelgono dunque la strada di una “collaborazione mista” con i tedeschi e con il CNL e i comandi partigiani. Le varie forme di sabotaggio consentono comunque di ridurre la produzione senza troppi pericoli e senza subire danni salariali. Il rischio tuttavia rimane e lo dimostra il bombardamento a Dalmine nel luglio del 1944.
Infine non possiamo esimerci dal segnalare che nel territorio di Bergamo le lotte si riaccendono nell’autunno del 1944, quando le condizioni di vita sono pessime a causa dell’aumento dei generi alimentari a cui non corrisponde un aumento salariale. Le rivendicazioni degli operai e delle operaie sono dunque di natura innanzitutto economica a cui si sommano le opposizioni ai licenziamenti e alle sospensioni per evitare la deportazione di maestranza in Germania. Brevi scioperi e dimostrazioni si susseguono da settembre a novembre coinvolgendo la SACE, la CAB, la ISSA di Stezzano, alcune fabbriche tessili di Alzano Lombardo e di Nese e soprattutto la Dalmine, dove il 18 novembre il gruppo dirigente impone la serrata.
[1] Per un più giusto domani. Bergamo 1943-1945. Conflittualità operaia e Resistenza, Angelo Bendotti – Giuliana Bertacchi con la cura di Eugenia Valtulina, p.6
Mara D’Arcangelo
in collaborazione con
Luciana Bramati e Elisabetta Ruffini (ISREC)